lunedì 28 ottobre 2019

[Recensione] "Dear Charlie" di N.D. Gomes

Inizia una nuova settimana e io la inauguro con una recensione - una recensione di un libro che ha un argomento di cui ancora si parla troppo spesso, ma che fortunatamente non ci appartiene come Paese.


Titolo: Dear Charlie
Autrice: N.D. Gomes
Data di uscita: 20 ottobre 2016
Durata: 6H (Storytel Edition)
Editore: HarperCollins
Link Amazon: https://amzn.to/3628y0L

Trama [tradotta da me]: La morte non dovrebbe mai incontrare i giovani. Ma l'ha fatto. Grazie a mio fratello, la morte si è fatta quattordici nuovi amici quel giorno. Forse anche quindici, se contiamo Charlie.

Si suppone che a sedici anni Sam Macmillan pensi alle ragazze, ai compiti e alla sua imminente domanda di ammissione all'istituto di musica, non a raccogliere i pezzi dopo la sparatoria che suo fratello Charlie ha messo in atto a scuola.

E mentre Sam cerca disperatamente di aggrapparsi ai ricordi che ha di suo fratello, la tempesta mediatica che circonda la loro famiglia minaccia di distruggere tutto. E Sam deve mettere in discussione tutto quello che pensava di sapere sulla vita, la morte, giusto e sbagliato.

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TRIGGER WARNING: sparatoria scolastica, suicidio, bullismo.


Anche in questo caso, come nella mia recensione precedente di The Memory of Light, l'avviso è quasi superfluo perché la storia si svolge dopo l'evento. 

Se mi seguite da un po', sapete che questo non è neanche il primo libro che leggo sull'argomento. Ci sono stati Hate List e la sua novella companion Say Something, c'è stato Violent Ends e c'è stato Close Your Eyes. Poi ne ho un altro qui a casa da leggere, un'eARC di NetGalley sul Kindle e due libri di non-fiction in wishlist su Amazon. 

Il setting di Dear Charlie non era specificato e mi ha sorpresa perché, a differenza degli altri, questo non è ambientato negli Stati Uniti; come Close Your Eyes è ambientato in UK, un luogo dove la gun culture non si può proprio dire che sia la stessa e che per questo fa ancora più effetto.  

E lo fa perché, nonostante l'assenza di espliciti riferimenti e collegamenti, la sparatoria di questa storia - sebbene in circostanze e con protagonisti diversi - fa tornare alla mente il massacro di Dunblane avvenuto in Scozia nello stesso anno in cui è ambientato Dear Charlie. Così come sono reali i riferimenti ad un altro massacro avvenuto nel 1987 sempre in UK e citato - cambiando dinamiche e protagonisti - nel libro e che poi nel 1997 sia stata fatta una legge per il controllo delle armi, fatto che viene riportato anche nel libro.


Siamo nel 1996 e questa non è la storia di Charlie, non è la cronaca di quell'ultimo giorno di scuola in giugno in cui ha ucciso quattordici persone. 

Questa è la storia di Sam, che quel giorno ha perso suo fratello e la cui vita è cambiata per sempre, facendo anche implodere il rapporto tra i suoi genitori che era già compromesso da un po' di tempo. 

Inizia con una lettera che Sam scrive a Charlie sul quaderno che la sua psicoterapeuta gli ha consigliato di tenere per affrontare le sue emozioni, il trauma, i suoi incubi. Una lettera in cui Sam gli scrive quanto gli manchi, ma anche quanto lo odi in quel momento.

Sta per iniziare un nuovo anno scolastico e la Pembrook Academy non vuole più che Sam frequenti quell'edificio per tutto ciò che potrebbe ricordare ai sopravvissuti, così Sam è costretto a frequentare la scuola del paese vicino. 
Ma così come sono ancora assediati dai giornalisti a casa e la faccia di Charlie è su tutti i notiziari locali e nazionali, anche Sam viene riconosciuto ovunque vada e guardato con odio e paura e diffidenza. 

Seguiamo Sam per un anno e vediamo come lui e la sua famiglia siano emarginati, isolati, abbandonati, - e come lui si senta abbandonato anche dai suoi genitori. Vediamo come instaura un'incerta amicizia con un gruppo di ragazzi a scuola a cui apparentemente non sembra importare cosa abbia fatto suo fratello perché di fatto lui non è Charlie. Vediamo come il rapporto tra i suoi genitori si logori sempre di più. Vediamo come sono ancora tormentati dai giornalisti che vogliono dichiarazioni, che alla televisione speculano sulle motivazioni dietro il gesto di Charlie: droga, videogiochi e film violenti, bullismo, negligenza dei genitori... ogni giorno il motivo cambia. 

Vediamo Sam che cerca di avere una vita da adolescente normale: prima ad aspettarlo c'era l'audizione per la Royal Academy of Music, ma dopo che il suo mondo è cambiato la musica e il pianoforte non hanno più fatto parte della sua vita. Ora invece gli sembra incredibile avere degli amici con cui passare il tempo fuori casa e una ragazza per cui avere una cotta. 

Ma Charlie è sempre con lui. 

Vediamo come Sam cerca di trovare una risposta agli eventi di quel giorno, come cerca di conciliare il fratello maggiore che si era sempre preso cura di lui con quello che ha ucciso tutte quelle persone. Conosceva davvero Charlie? Hanno ragione i media e lui alla fine non lo conosceva davvero? Come può quel ragazzo che amava tanto l'arte e dipingere aver commesso un atto così atroce? C'era qualcuno che conosceva davvero suo fratello?


Dear Charlie affronta un argomento non facile e lo fa con delicatezza e maestria. 
Se Close Your Eyes gli è vicino per il setting, Hate List gli è vicino invece per un altro motivo. In Hate List era Valerie, la ragazza di Nick, ad essere lasciata a se stessa con le domande sulla persona che era davvero Nick. E a Valerie veniva negato il diritto di piangere qualcuno che amava solo a causa di quello che aveva commesso. 
Qui è la stessa cosa: tutti si chiedono come i genitori ne fossero all'oscuro, se fossero davvero così negligenti da non aver colto i segnali. Ai Macmillan viene negato il diritto del dolore per aver perso un figlio e un fratello - un ragazzo che ha sì commesso un massacro, ma che era anche parte della loro famiglia e dei loro cuori. E per quanto colpevole, non hanno forse il diritto di piangere anche i genitori e il fratello dell'assassino? È stato inevitabile per me pensare a Sue Klebold, madre di uno degli autori del massacro alla Columbine High School nel 1999 - una donna che ignorava cosa progettasse il figlio, ma che quel figlio lo amava e che ora è un'attivista.

Mi rendo conto che si tratta di un argomento controverso perché la rabbia e il dolore non guardano in faccia nessuno e agli occhi dei famigliari delle vittime di un atto così violento, tutti quelli legati alla persona che l'ha commesso sono colpevoli. 
Ma lo sono davvero?

L'unica parte di questo romanzo che mi ha fatto storcere il naso è quella centrale, quella in cui l'autrice si è lasciata un po' andare nella parte "amorosa" - per quanto io abbia apprezzato la volontà di rendere Sam un ragazzo che si vuole riappropriare di una vita da adolescente, su quella parte si è marciato un po' troppo considerata la portata del resto. 

Tuttavia resta un bel libro, scritto bene e senza manipolazioni emotive - non vuole dare giustificazioni, non vuole offrire spiegazioni. L'ultima parte mi ha anche commossa.
È un libro coraggioso che offre una nuova prospettiva all'interno di tragedie di questa portata perché quasi mai si parla del dolore della famiglia del colpevole.
È la storia di Sam e della sua famiglia, è la storia dell'elaborazione del lutto, è la storia di un trauma, è la storia che non dimentica ma che ad un certo punto va avanti. 

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