Cominciamo la settimana con una recensione, parlando di A Monster Calls di Patrick Ness, tradotto in italiano con il titolo Sette minuti dopo la mezzanotte.
Vi avviso che questa sarà una recensione "di pancia", forse poco oggettiva per via della tempesta emotiva con la quale mi ha investito.
Sarà forse una recensione in cui finirò per parlare poco del libro e troppo di me stessa.
Vi avviso che questa sarà una recensione "di pancia", forse poco oggettiva per via della tempesta emotiva con la quale mi ha investito.
Sarà forse una recensione in cui finirò per parlare poco del libro e troppo di me stessa.
Titolo: A Monster Calls
Autore: Patrick Ness
Data di uscita: 2 febbraio 2012
Data di uscita originale: 5 maggio 2011
Pagine: 215 (copertina flessibile)
Editore: Walker Books Ltd
Link Amazon: https://amzn.to/2UXA7Sy
Trama [della Mondadori]: Il mostro si presenta a Conor sette minuti dopo la mezzanotte. Puntuale. Ma non è il mostro che Conor si aspettava, l'orribile incubo fatto di vortici e urla che lo tormenta ogni notte da quando sua madre ha iniziato le cure mediche. Questo mostro è diverso. È un albero. Antico come una storia perduta. Selvaggio come una storia indomabile. E vuole da Conor la cosa più pericolosa di tutte. La verità.
Sapevo a cosa andavo incontro fin dall'inizio - con libri che trattano un certo argomento mi preparo psicologicamente prima. Ma anche tutta la preparazione psicologica del mondo non serve ad evitare che arrivata a fine lettura, per quanto io la trovi catartica, inevitabilmente io scoppi a piangere.
Ce ne sono state altre di letture sull'argomento nella mia vita, ma quella che più si avvicina a questa è stata Fai buon viaggio, Rabbit Hayes di Anna McPartlin - perché non è dal punto di vista di adolescenti in cui romance e amicizia sono una componente con un certo peso, perché invece parla di una famiglia.
È vero che anche a dicembre ho singhiozzato con Voglio vivere prima di morire di Jenny Downham, ma solo il libro della McPartlin si era preso il punteggio pieno prima di oggi - perché è vero che i sintomi di Tessa mi avevano riportata indietro di quindici anni, ma è proprio la componente famigliare della McPartlin che invece aveva fatto presa su di me. Perché, se disgraziatamente succede, è qualcosa che vivi come famiglia.
Conor ha tredici anni, una mamma che sta male, un padre che vive in America con la sua nuova famiglia, una nonna con cui non va d'accordo. E ha un incubo ricorrente: sempre lo stesso, ogni notte, che lo fa svegliare urlando.
È abituato a farsi da mangiare da solo nei periodi in cui la mamma sta troppo male - e ultimamente sta accadendo un po' troppo spesso. A scuola non ha davvero amici e l'unica che aveva, Lily, è anche quella che ha detto a tutta la scuola della malattia di sua madre. Ora tutti lo evitano come un appestato, tranne il bulletto che sembra sempre passarla liscia sotto gli occhi di insegnanti occupati a guardare da un'altra parte oppure accecati dai suoi voti e i suoi due tirapiedi.
E poi una notte, fuori dalla sua finestra, si presenta un mostro.
Ma non è il mostro che immaginava, non è il mostro dei suoi incubi e quindi non ha paura. Quello fuori dalla sua finestra è solo un grosso albero, vecchio come il mondo, che sostiene che sia stato Conor a svegliarlo e a chiamarlo a sé. E ora questo mostro si presenta sempre puntuale sette minuti dopo la mezzanotte e vuole raccontargli tre storie, chiedendo in cambio che Conor gli racconti la sua di storia. E vuole la verità, quella verità che Conor nega a se stesso che esista.
E così passano i giorni e le notti, tra storie di cui Conor non capisce il senso e attese piene di rabbia e angoscia che il resto del mondo non può capire.
Sarà personale questa recensione? Sì, forse anche più delle solite.
Perché c'è un motivo se il libro della McPartlin aveva preso il punteggio pieno, se era stato catartico come nessun altro, se mi aveva fornito una chiusura che non avevo avuto. Perché anche là c'era una ragazzina, Juliet, in cui mi ero rivista ma quello era un romanzo corale mentre qui siamo nella testa, nell'anima e nel cuore di Conor.
Ho detto più volte di aver perso mio nonno quando avevo 14 anni.
Ho detto più volte - anche recensendo il romanzo della McPartlin - che sono conscia di come sia diverso perdere un nonno rispetto ad una madre, ma sempre di una perdita si tratta e forse fa anche più male di quanto uno possa immaginare se ci hai vissuto accanto per tutti i tuoi primi quattordici anni di vita. Cosa che nessuno di quelli accanto a me all'epoca sembrava capire perché non avevano quel rapporto con i loro nonni che avevo io con il mio nonno materno.
C'è tantissimo di quella me stessa quattordicenne in Conor O'Malley.
Ci sono i giri senza meta in ospedale, ci sono le attese, c'è la rabbia, c'è il senso di colpa, ci sono pensieri che sono l'esatta copia di quelli che avevo io - quei pensieri che senti come sbagliati, ma che non puoi evitare.
Ci sono quelle verità negate - forse perché te le nascondono senza parlare chiaro, forse perché sei tu in primis che non vuoi vedere la tempesta all'orizzonte.
Conor non capisce perché il mostro si sia presentato e perché gli racconti quelle storie: storie che non hanno un lieto fine oppure se ce l'hanno è relativo, storie che ti ingannano oppure sei tu che ti inganni e non presti attenzione, storie che sembrano lontanissime dalla sua vita. E non capisce cosa voglia da lui alla fine - o forse lo sa, ma ne ha paura.
Eppure è proprio con il mostro durante le sue visite che Conor esterna quello che ha dentro e quello che non vuole mai mostrare a nessuno: quella verità fatta di sentimenti ingombranti e scomodi, ma non per questo privi di valore e serietà e necessità di esistere.
Ho visto in Conor il mio egoismo, la mia confusione, la mia frustrazione per una vita che sentivo mi stava venendo strappata via da cose che erano davvero più importanti, ma che io non percepivo come tali - quelle cose più importanti che gli adulti continuavano a volermi fare entrare in testa e che io, a 14 anni, ero stupida per capirne le conseguenze.
Ho visto Conor affrontare il percorso di accettazione: accettazione dei suoi pensieri e dei suoi sentimenti, accettazione degli eventi imminenti ed inevitabili.
E ho pianto, ho pianto tantissimo nel finale.
Ho pianto perché l'atteggiamento di Conor - per alcuni aspetti - è quello che avrei dovuto avere io, quello per cui mi sono punita nei dieci anni successivi.
Ho pianto perché è stato catartico, perché Patrick Ness con le sue parole e con il suo mostro ha assolto tutto quello di cui mi incolpavo e mi ha detto che era normale provare quei sentimenti quando ero una ragazzina.
Ho pianto perché, stando nella testa e nella vita di Conor, sono tornata ad essere quella quattordicenne e ho avuto l'occasione di fare le cose per bene.
Ho pianto perché è stata la chiusura e l'assoluzione di cui non sapevo di avere bisogno anche dopo quindici anni.
So di non aver detto praticamente niente del libro e di aver parlato solo di me, ma A Monster Calls è qualcosa che dovete vivere sulla vostra pelle e per quanto io sia egocentrica, è stato difficile parlare della mia vita senza scendere in dettagli e dire esattamente quali parti del libro hanno causato queste reazioni e perché.
A Monster Calls è una storia che parla di dolore, sofferenza, accettazione, famiglia, amore, bugie e verità, forza e debolezza, aiuto, rabbia, confusione, senso di colpa.
Fatevi accompagnare dalla magnifica scrittura di Patrick Ness in questo libro di poco più di 200 pagine attraverso metafore, simboli, sogni e incubi, parole così potenti da creare immagini nitide nella vostra testa e affrontate i vostri demoni.
Autore: Patrick Ness
Data di uscita: 2 febbraio 2012
Data di uscita originale: 5 maggio 2011
Pagine: 215 (copertina flessibile)
Editore: Walker Books Ltd
Link Amazon: https://amzn.to/2UXA7Sy
Trama [della Mondadori]: Il mostro si presenta a Conor sette minuti dopo la mezzanotte. Puntuale. Ma non è il mostro che Conor si aspettava, l'orribile incubo fatto di vortici e urla che lo tormenta ogni notte da quando sua madre ha iniziato le cure mediche. Questo mostro è diverso. È un albero. Antico come una storia perduta. Selvaggio come una storia indomabile. E vuole da Conor la cosa più pericolosa di tutte. La verità.
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Sapevo a cosa andavo incontro fin dall'inizio - con libri che trattano un certo argomento mi preparo psicologicamente prima. Ma anche tutta la preparazione psicologica del mondo non serve ad evitare che arrivata a fine lettura, per quanto io la trovi catartica, inevitabilmente io scoppi a piangere.
Ce ne sono state altre di letture sull'argomento nella mia vita, ma quella che più si avvicina a questa è stata Fai buon viaggio, Rabbit Hayes di Anna McPartlin - perché non è dal punto di vista di adolescenti in cui romance e amicizia sono una componente con un certo peso, perché invece parla di una famiglia.
È vero che anche a dicembre ho singhiozzato con Voglio vivere prima di morire di Jenny Downham, ma solo il libro della McPartlin si era preso il punteggio pieno prima di oggi - perché è vero che i sintomi di Tessa mi avevano riportata indietro di quindici anni, ma è proprio la componente famigliare della McPartlin che invece aveva fatto presa su di me. Perché, se disgraziatamente succede, è qualcosa che vivi come famiglia.
Conor ha tredici anni, una mamma che sta male, un padre che vive in America con la sua nuova famiglia, una nonna con cui non va d'accordo. E ha un incubo ricorrente: sempre lo stesso, ogni notte, che lo fa svegliare urlando.
È abituato a farsi da mangiare da solo nei periodi in cui la mamma sta troppo male - e ultimamente sta accadendo un po' troppo spesso. A scuola non ha davvero amici e l'unica che aveva, Lily, è anche quella che ha detto a tutta la scuola della malattia di sua madre. Ora tutti lo evitano come un appestato, tranne il bulletto che sembra sempre passarla liscia sotto gli occhi di insegnanti occupati a guardare da un'altra parte oppure accecati dai suoi voti e i suoi due tirapiedi.
E poi una notte, fuori dalla sua finestra, si presenta un mostro.
Ma non è il mostro che immaginava, non è il mostro dei suoi incubi e quindi non ha paura. Quello fuori dalla sua finestra è solo un grosso albero, vecchio come il mondo, che sostiene che sia stato Conor a svegliarlo e a chiamarlo a sé. E ora questo mostro si presenta sempre puntuale sette minuti dopo la mezzanotte e vuole raccontargli tre storie, chiedendo in cambio che Conor gli racconti la sua di storia. E vuole la verità, quella verità che Conor nega a se stesso che esista.
E così passano i giorni e le notti, tra storie di cui Conor non capisce il senso e attese piene di rabbia e angoscia che il resto del mondo non può capire.
Sarà personale questa recensione? Sì, forse anche più delle solite.
Perché c'è un motivo se il libro della McPartlin aveva preso il punteggio pieno, se era stato catartico come nessun altro, se mi aveva fornito una chiusura che non avevo avuto. Perché anche là c'era una ragazzina, Juliet, in cui mi ero rivista ma quello era un romanzo corale mentre qui siamo nella testa, nell'anima e nel cuore di Conor.
Ho detto più volte di aver perso mio nonno quando avevo 14 anni.
Ho detto più volte - anche recensendo il romanzo della McPartlin - che sono conscia di come sia diverso perdere un nonno rispetto ad una madre, ma sempre di una perdita si tratta e forse fa anche più male di quanto uno possa immaginare se ci hai vissuto accanto per tutti i tuoi primi quattordici anni di vita. Cosa che nessuno di quelli accanto a me all'epoca sembrava capire perché non avevano quel rapporto con i loro nonni che avevo io con il mio nonno materno.
C'è tantissimo di quella me stessa quattordicenne in Conor O'Malley.
Ci sono i giri senza meta in ospedale, ci sono le attese, c'è la rabbia, c'è il senso di colpa, ci sono pensieri che sono l'esatta copia di quelli che avevo io - quei pensieri che senti come sbagliati, ma che non puoi evitare.
Ci sono quelle verità negate - forse perché te le nascondono senza parlare chiaro, forse perché sei tu in primis che non vuoi vedere la tempesta all'orizzonte.
Conor non capisce perché il mostro si sia presentato e perché gli racconti quelle storie: storie che non hanno un lieto fine oppure se ce l'hanno è relativo, storie che ti ingannano oppure sei tu che ti inganni e non presti attenzione, storie che sembrano lontanissime dalla sua vita. E non capisce cosa voglia da lui alla fine - o forse lo sa, ma ne ha paura.
Eppure è proprio con il mostro durante le sue visite che Conor esterna quello che ha dentro e quello che non vuole mai mostrare a nessuno: quella verità fatta di sentimenti ingombranti e scomodi, ma non per questo privi di valore e serietà e necessità di esistere.
Ho visto in Conor il mio egoismo, la mia confusione, la mia frustrazione per una vita che sentivo mi stava venendo strappata via da cose che erano davvero più importanti, ma che io non percepivo come tali - quelle cose più importanti che gli adulti continuavano a volermi fare entrare in testa e che io, a 14 anni, ero stupida per capirne le conseguenze.
Ho visto Conor affrontare il percorso di accettazione: accettazione dei suoi pensieri e dei suoi sentimenti, accettazione degli eventi imminenti ed inevitabili.
E ho pianto, ho pianto tantissimo nel finale.
Ho pianto perché l'atteggiamento di Conor - per alcuni aspetti - è quello che avrei dovuto avere io, quello per cui mi sono punita nei dieci anni successivi.
Ho pianto perché è stato catartico, perché Patrick Ness con le sue parole e con il suo mostro ha assolto tutto quello di cui mi incolpavo e mi ha detto che era normale provare quei sentimenti quando ero una ragazzina.
Ho pianto perché, stando nella testa e nella vita di Conor, sono tornata ad essere quella quattordicenne e ho avuto l'occasione di fare le cose per bene.
Ho pianto perché è stata la chiusura e l'assoluzione di cui non sapevo di avere bisogno anche dopo quindici anni.
So di non aver detto praticamente niente del libro e di aver parlato solo di me, ma A Monster Calls è qualcosa che dovete vivere sulla vostra pelle e per quanto io sia egocentrica, è stato difficile parlare della mia vita senza scendere in dettagli e dire esattamente quali parti del libro hanno causato queste reazioni e perché.
A Monster Calls è una storia che parla di dolore, sofferenza, accettazione, famiglia, amore, bugie e verità, forza e debolezza, aiuto, rabbia, confusione, senso di colpa.
Fatevi accompagnare dalla magnifica scrittura di Patrick Ness in questo libro di poco più di 200 pagine attraverso metafore, simboli, sogni e incubi, parole così potenti da creare immagini nitide nella vostra testa e affrontate i vostri demoni.
È davvero una recensione bellissima! <3
RispondiEliminaOh, grazie mille! <3
EliminaBellissima (e sentitissima) recensione! Sicuramente prima o poi lo leggerò anche io, ma dovrò essere dell'umore.
RispondiEliminaTu sei sempre di parte - comunque sì, devi essere nel giusto stato d'animo per leggerlo. u.u
EliminaCiao! 💖 Questo libro è meraviglioso e la tua recensione gli rende davvero giustizia. I libri credo che abbiano anche il potere di farci sentire meno soli e sono contenta che tu abbia ritrovato un pezzo di te in Conor! ✨
RispondiEliminaGrazie mille, Adele! :)
EliminaQuesto libro è stato proprio ciò di cui non sapevo di aver bisogno.
adoro le recensioni di pancia! Ho questo libro a casa da leggere, lo farò presto
RispondiEliminaGrazie Chiara! :)
EliminaSpero che piacerà anche a te!
E proprio perché è difficile, doloroso e struggente resta uno dei miei libri preferiti.
RispondiEliminaUn abbraccio anche a te. :)