Di questo libro avevo letto una recensione bellissima sul blog di Elisa di Devilishly Stylish.
E sapevo a quello che sarei andata incontro perché tratta un argomento che io ho vissuto da vicino con mio nonno, ma nonostante la sofferenza che sapevo avrei provato, questo fa parte di quei libri che quando chiamano proprio non li puoi ignorare.
Titolo: Fai buon viaggio, Rabbit Hayes
Titolo originale: The Last Days of Rabbit Hayes
Autrice: Anna McPartlin
Data di uscita: 15 marzo 2016
Data di uscita originale: 8 marzo 2014
Pagine: 364 (copertina rigida)
Editore: Sperling & Kupfer
Trama: Mia Hayes, detta Rabbit, ama la sua vita, fatta di cose semplici e di persone straordinarie. Ama sua figlia Juliet - dodici anni e coraggio da vendere - che ha cresciuto da sola. Ama il lavoro di giornalista. Ama la sua famiglia, chiassosa e irlandese fino al midollo. Ama da sempre un unico uomo, Johnny Faye, anche se la loro storia risale a vent'anni prima: è stato lui, quando erano ragazzini, ad affibbiarle quel soprannome, per i codini che assomigliavano a orecchie di coniglio. Eppure, per quanto ami la vita, la vita stessa ha altri piani per Rabbit. Lei ci ha provato, a combattere contro la malattia, proprio quella che le ha fatto capire quanto fosse fortunata ad avere con sé quelle persone speciali e quelle cose semplici. Ma ora le restano solo pochi giorni. Quanto tempo è necessario per pensare al futuro di tua figlia? Quanto per insegnare alla tua famiglia a dirti addio? Quanto ancora per rivivere di nuovo il tuo unico, grande amore? Rabbit sa che non conta il quanto, ma il come, purché si faccia tesoro di ogni istante. Perché anche un solo attimo può racchiudere il senso di tutta una vita, per noi e per chi ci porterà per sempre nel cuore.
C'è qualcosa che dovreste sapere di me prima che io prosegua con la recensione. Qualcosa che, se conoscete il mio nickname solo da quando ho aperto questo blog sui libri, allora non potete sapere.
Il 21 maggio 2003 mio nonno - il mio nonno materno che ha sempre vissuto nella casa accanto alla mia - era stato operato per quella che io credevo fosse una semplice ernia, salvo poi scoprire solo successivamente che gli era stato rimosso un rene.
Ma io avevo 14 anni e non capivo perché mio nonno non si riprendesse in fretta da un'ernia e perché dovesse stare sempre in ospedale. Io avevo 14 anni e volevo uscire in piazza con la mia migliore amica e vedere il ragazzo che mi piaceva. Io avevo 14 anni e fondamentalmente non capivo nulla perché ero solo una ragazzina egoista.
Nel mese di luglio mia madre mi ha detto che si trattava di tumore, che dal rene era andato in metastasi ed era arrivato al cervello. Era solo questione di tempo.
E io ero ancora una ragazzina egoista, stupidamente convinta che la cosa si sarebbe risolta in un qualche modo perché mio nonno non poteva andarsene così - fino a quando non è arrivata la telefonata la notte del 15 novembre.
So che perdere una madre è diverso da perdere un nonno, ma le conseguenze sono le stesse. Io non c'ero quando è successo, non ci sono stata per una settimana in ospedale. E anche se mia madre mi ha sempre detto che era stato giusto così e che mio nonno non avrebbe mai voluto che lo vedessi nei suoi ultimi giorni - specialmente dopo l'ictus dal quale non si è più svegliato - e che lo ricordassi come l'avevo sempre conosciuto, non esserci stata costituisce ancora uno dei miei più grandi sensi di colpa.
Non è il primo libro che leggo dove uno dei protagonisti affronta il cancro.
Prima ci sono stati The Fault In Our Stars di John Green, poi c'è stato A Time for Dancing di Davida Wills Hurwin e infine The Heartbreakers di Ali Novak.
E anche con loro ho pianto: non con The Heartbreakers perché il cancro non era il focus principale della storia, ho versato qualche lacrima con The Fault In Our Stars perché avevo appena perso il mio amato Cico quando l'ho letto e ho singhiozzato come una disperata con A Time for Dancing - perché l'avevo già fatto con il film e perché era quello che più riportava fedelmente lo strazio che ci colpisce quando una persona amata sta morendo di cancro.
Questo fino a Fai buon viaggio, Rabbit Hayes.
E ho pianto, sì. Ma solo nelle ultime cinque pagine.
In The Fault In Our Stars di John Green la storia è raccontata in prima persona dalla ragazza ammalata di cancro. In The Heartbreakers di Ali Novak sono fratello e sorella dell'ammalata a vivere passivamente la malattia. In A Time for Dancing di Davida Wills Hurwin la storia è raccontata sia dal punto di vista dell'ammalata che da quello della sua migliore amica e mostra come il cancro cambi la loro vita e il loro rapporto.
Fai buon viaggio, Rabbit Hayes di Anna McPartlin contiene tutti questi punti di vista e molti di più, dando miriadi di sfaccettature che gli altri libri non possedevano perché si concentravano su altre cose: l'amore, la musica e la danza rispettivamente.
La commozione arriva solo alla fine del libro perché tutto il romanzo è pieno della famiglia Hayes e dei suoi componenti, sanguigni e praticamente adottati.
È la storia degli ultimi giorni di Rabbit e di come tutti quelli che la circondano stiano cercando di affrontare la cosa.
È la storia di come un padre e una madre non riescano ad accettare l'idea che la figlia quarantenne muoia prima di loro.
È la storia di un fratello e una sorella che non sono pronti a restare solo in due senza la loro sorellina minore.
È la storia di una figlia che ha solo dodici anni e non è pronta a perdere la madre.
È la storia di una migliore amica che ha paura di perdere l'unica famiglia che abbia mai avuto quando sua madre non faceva che giudicarla.
È la storia di amici di infanzia che conoscono Rabbit da quando aveva dodici anni, gli occhiali troppo spessi e i codini.
È la storia di un amore mai vissuto appieno e mai dimenticato.
È la storia di una donna che ha combattuto per quattro anni e che continua a farlo fino alla fine, credendoci fino a quando non è più possibile ignorare la realtà.
È un via vai di persone venute a tenere compagnia a Rabbit: sua madre Molly e suo padre Jack, la figlia Juliet, i fratelli Grace e Davey, la migliore amica Marjorie, gli amici Jay e Francie che suonavano nella band del fratello.
Il suo grande amore Johnny viene a trovarla solo nei sogni, quando il dolore è troppo forte e Rabbit cede al sonno e si intuisce presto perché non può essere presente.
A dispetto della serietà dell'argomento, si piange solo alla fine perché il resto del romanzo è pieno di questa chiassosa famiglia irlandese e di tutti i ricordi gioiosi che vengono nominati: la Dublino di quando erano giovani e di adesso, la band che Davey aveva messo su in garage con Johnny, Jay e Francie e Louis - quest'ultimo sostituito poi da Kev, Rabbit e Marjorie che si nascondevano dietro le tende ad ascoltarli suonare e tutta la famiglia Hayes che li seguiva in concerto perché Molly li aveva adottati tutti e Jack aveva fondato il loro fanclub.
E ad allietare il presente ci sono la carismatica Molly - piena di battute fuori luogo e parolacce come ogni irlandese che si rispetti, che ancora non si arrende nel trovare una cura per la figlia e che è ancora capace di farla ridere anche quando Rabbit è troppo stanca - e la sorella Grace, alle prese con quattro figli che la fanno uscire di testa ma che si dimostrano sensibili all'occorrenza.
È un romanzo pieno di ricordi gioiosi e malinconici, di legami che durano tutta la vita non importa la strada che uno di loro intraprende, di amore e amicizia e devozione verso Mia "Rabbit" Hayes che è stata il cuore della famiglia e della band dei Kitchen Sink.
È un romanzo vero che descrive ancora meglio degli altri tre che ho letto la realtà di una situazione come quella che affronta la famiglia Hayes proprio perché si concentra unicamente su questo: la famiglia.
Ci sono aspetti, caratteristiche di ognuno di loro che mi hanno mostrato tutte le fasi che ho attraversato a 14 anni: il coraggio e la paura, l'attesa di un miracolo e la negazione di fronte alla realtà dei genitori di Rabbit, il non voler mai andare in ospedale di Grace, il rimpianto di non aver trascorso più tempo insieme di Davey, la frustrazione di Juliet nel non capire il motivo per il quale sua madre non torni a casa perché quella che per lei è solo una frattura alla gamba invece significa che il cancro è così esteso che non c'è più niente da fare.
Ed è proprio in Juliet che ho rivisto di più me stessa: in questa ragazzina che continuava a fare domande e a cui venivano dette bugie perché non si sapeva in che modo dirle come stavano davvero i fatti, in questa ragazzina che in fondo al suo cuore lo sapeva ma non poteva accettarlo.
Ho rivisto me stessa nella sua frustrazione, nella sua confusione, nelle sue lacrime e nella sua paura.
È il libro più sincero e reale che abbia mai letto sull'argomento perché affronta sì gli aspetti più devastanti del cancro, ma lo fa con il supporto di una famiglia dove si bisticcia ma che è sempre presente nel momento del bisogno.
Una famiglia pronta ad accompagnare Rabbit nel suo ultimo viaggio rendendolo il più confortevole, sereno e gioioso possibile.
Non credo di essere riuscita rendere giustizia a questo libro nel modo in cui avrei voluto e per questo me ne scuso. Ma sapevo che sarebbe stato un libro di cui avrei avuto difficoltà a parlare proprio perché sapevo a prescindere che mi sarebbe entrato nell'anima. Questo libro è stato un po' un ricordo e un po' un rimpianto, è stato un po' un senso di colpa che la mia versione quattordicenne non smetterà mai di provare e un po' un'assoluzione che adesso a ventisette anni posso concedermi. È un libro di cui non sarò mai in grado di parlare a dovere perché Anna McPartlin con la sua storia e i suoi personaggi mi ha restituito tutto quello che ho perso con mio nonno, anche se non sarà mai abbastanza per colmare quel vuoto.
Titolo originale: The Last Days of Rabbit Hayes
Autrice: Anna McPartlin
Data di uscita: 15 marzo 2016
Data di uscita originale: 8 marzo 2014
Pagine: 364 (copertina rigida)
Editore: Sperling & Kupfer
Trama: Mia Hayes, detta Rabbit, ama la sua vita, fatta di cose semplici e di persone straordinarie. Ama sua figlia Juliet - dodici anni e coraggio da vendere - che ha cresciuto da sola. Ama il lavoro di giornalista. Ama la sua famiglia, chiassosa e irlandese fino al midollo. Ama da sempre un unico uomo, Johnny Faye, anche se la loro storia risale a vent'anni prima: è stato lui, quando erano ragazzini, ad affibbiarle quel soprannome, per i codini che assomigliavano a orecchie di coniglio. Eppure, per quanto ami la vita, la vita stessa ha altri piani per Rabbit. Lei ci ha provato, a combattere contro la malattia, proprio quella che le ha fatto capire quanto fosse fortunata ad avere con sé quelle persone speciali e quelle cose semplici. Ma ora le restano solo pochi giorni. Quanto tempo è necessario per pensare al futuro di tua figlia? Quanto per insegnare alla tua famiglia a dirti addio? Quanto ancora per rivivere di nuovo il tuo unico, grande amore? Rabbit sa che non conta il quanto, ma il come, purché si faccia tesoro di ogni istante. Perché anche un solo attimo può racchiudere il senso di tutta una vita, per noi e per chi ci porterà per sempre nel cuore.
Il tempo scorre davvero lento quando aspetti in un corridoio d'ospedale.
C'è qualcosa che dovreste sapere di me prima che io prosegua con la recensione. Qualcosa che, se conoscete il mio nickname solo da quando ho aperto questo blog sui libri, allora non potete sapere.
Il 21 maggio 2003 mio nonno - il mio nonno materno che ha sempre vissuto nella casa accanto alla mia - era stato operato per quella che io credevo fosse una semplice ernia, salvo poi scoprire solo successivamente che gli era stato rimosso un rene.
Ma io avevo 14 anni e non capivo perché mio nonno non si riprendesse in fretta da un'ernia e perché dovesse stare sempre in ospedale. Io avevo 14 anni e volevo uscire in piazza con la mia migliore amica e vedere il ragazzo che mi piaceva. Io avevo 14 anni e fondamentalmente non capivo nulla perché ero solo una ragazzina egoista.
Nel mese di luglio mia madre mi ha detto che si trattava di tumore, che dal rene era andato in metastasi ed era arrivato al cervello. Era solo questione di tempo.
E io ero ancora una ragazzina egoista, stupidamente convinta che la cosa si sarebbe risolta in un qualche modo perché mio nonno non poteva andarsene così - fino a quando non è arrivata la telefonata la notte del 15 novembre.
«Con lei ci sono sua figlia Juliet e mio figlio Davey. Non ce la facevo proprio a star lì a vedere mia nipote che assiste alla morte di sua madre... non è giusto, però come si fa a dirle di andar via?»«Non si può.»«E se questo la segnerà per sempre?» [..]«Juliet ricorderà sua madre morente. Non avrà nulla da chiedersi, non rimpiangerà mai di esserci stata, non farà domande e saprà che sua madre se n'è andata serenamente.»
So che perdere una madre è diverso da perdere un nonno, ma le conseguenze sono le stesse. Io non c'ero quando è successo, non ci sono stata per una settimana in ospedale. E anche se mia madre mi ha sempre detto che era stato giusto così e che mio nonno non avrebbe mai voluto che lo vedessi nei suoi ultimi giorni - specialmente dopo l'ictus dal quale non si è più svegliato - e che lo ricordassi come l'avevo sempre conosciuto, non esserci stata costituisce ancora uno dei miei più grandi sensi di colpa.
Non è il primo libro che leggo dove uno dei protagonisti affronta il cancro.
Prima ci sono stati The Fault In Our Stars di John Green, poi c'è stato A Time for Dancing di Davida Wills Hurwin e infine The Heartbreakers di Ali Novak.
E anche con loro ho pianto: non con The Heartbreakers perché il cancro non era il focus principale della storia, ho versato qualche lacrima con The Fault In Our Stars perché avevo appena perso il mio amato Cico quando l'ho letto e ho singhiozzato come una disperata con A Time for Dancing - perché l'avevo già fatto con il film e perché era quello che più riportava fedelmente lo strazio che ci colpisce quando una persona amata sta morendo di cancro.
Questo fino a Fai buon viaggio, Rabbit Hayes.
E ho pianto, sì. Ma solo nelle ultime cinque pagine.
In The Fault In Our Stars di John Green la storia è raccontata in prima persona dalla ragazza ammalata di cancro. In The Heartbreakers di Ali Novak sono fratello e sorella dell'ammalata a vivere passivamente la malattia. In A Time for Dancing di Davida Wills Hurwin la storia è raccontata sia dal punto di vista dell'ammalata che da quello della sua migliore amica e mostra come il cancro cambi la loro vita e il loro rapporto.
Fai buon viaggio, Rabbit Hayes di Anna McPartlin contiene tutti questi punti di vista e molti di più, dando miriadi di sfaccettature che gli altri libri non possedevano perché si concentravano su altre cose: l'amore, la musica e la danza rispettivamente.
La commozione arriva solo alla fine del libro perché tutto il romanzo è pieno della famiglia Hayes e dei suoi componenti, sanguigni e praticamente adottati.
È la storia degli ultimi giorni di Rabbit e di come tutti quelli che la circondano stiano cercando di affrontare la cosa.
È la storia di come un padre e una madre non riescano ad accettare l'idea che la figlia quarantenne muoia prima di loro.
È la storia di un fratello e una sorella che non sono pronti a restare solo in due senza la loro sorellina minore.
È la storia di una figlia che ha solo dodici anni e non è pronta a perdere la madre.
È la storia di una migliore amica che ha paura di perdere l'unica famiglia che abbia mai avuto quando sua madre non faceva che giudicarla.
È la storia di amici di infanzia che conoscono Rabbit da quando aveva dodici anni, gli occhiali troppo spessi e i codini.
È la storia di un amore mai vissuto appieno e mai dimenticato.
È la storia di una donna che ha combattuto per quattro anni e che continua a farlo fino alla fine, credendoci fino a quando non è più possibile ignorare la realtà.
È un via vai di persone venute a tenere compagnia a Rabbit: sua madre Molly e suo padre Jack, la figlia Juliet, i fratelli Grace e Davey, la migliore amica Marjorie, gli amici Jay e Francie che suonavano nella band del fratello.
Il suo grande amore Johnny viene a trovarla solo nei sogni, quando il dolore è troppo forte e Rabbit cede al sonno e si intuisce presto perché non può essere presente.
A dispetto della serietà dell'argomento, si piange solo alla fine perché il resto del romanzo è pieno di questa chiassosa famiglia irlandese e di tutti i ricordi gioiosi che vengono nominati: la Dublino di quando erano giovani e di adesso, la band che Davey aveva messo su in garage con Johnny, Jay e Francie e Louis - quest'ultimo sostituito poi da Kev, Rabbit e Marjorie che si nascondevano dietro le tende ad ascoltarli suonare e tutta la famiglia Hayes che li seguiva in concerto perché Molly li aveva adottati tutti e Jack aveva fondato il loro fanclub.
E ad allietare il presente ci sono la carismatica Molly - piena di battute fuori luogo e parolacce come ogni irlandese che si rispetti, che ancora non si arrende nel trovare una cura per la figlia e che è ancora capace di farla ridere anche quando Rabbit è troppo stanca - e la sorella Grace, alle prese con quattro figli che la fanno uscire di testa ma che si dimostrano sensibili all'occorrenza.
È un romanzo pieno di ricordi gioiosi e malinconici, di legami che durano tutta la vita non importa la strada che uno di loro intraprende, di amore e amicizia e devozione verso Mia "Rabbit" Hayes che è stata il cuore della famiglia e della band dei Kitchen Sink.
È un romanzo vero che descrive ancora meglio degli altri tre che ho letto la realtà di una situazione come quella che affronta la famiglia Hayes proprio perché si concentra unicamente su questo: la famiglia.
Ci sono aspetti, caratteristiche di ognuno di loro che mi hanno mostrato tutte le fasi che ho attraversato a 14 anni: il coraggio e la paura, l'attesa di un miracolo e la negazione di fronte alla realtà dei genitori di Rabbit, il non voler mai andare in ospedale di Grace, il rimpianto di non aver trascorso più tempo insieme di Davey, la frustrazione di Juliet nel non capire il motivo per il quale sua madre non torni a casa perché quella che per lei è solo una frattura alla gamba invece significa che il cancro è così esteso che non c'è più niente da fare.
Ed è proprio in Juliet che ho rivisto di più me stessa: in questa ragazzina che continuava a fare domande e a cui venivano dette bugie perché non si sapeva in che modo dirle come stavano davvero i fatti, in questa ragazzina che in fondo al suo cuore lo sapeva ma non poteva accettarlo.
Ho rivisto me stessa nella sua frustrazione, nella sua confusione, nelle sue lacrime e nella sua paura.
È il libro più sincero e reale che abbia mai letto sull'argomento perché affronta sì gli aspetti più devastanti del cancro, ma lo fa con il supporto di una famiglia dove si bisticcia ma che è sempre presente nel momento del bisogno.
Una famiglia pronta ad accompagnare Rabbit nel suo ultimo viaggio rendendolo il più confortevole, sereno e gioioso possibile.
Non credo di essere riuscita rendere giustizia a questo libro nel modo in cui avrei voluto e per questo me ne scuso. Ma sapevo che sarebbe stato un libro di cui avrei avuto difficoltà a parlare proprio perché sapevo a prescindere che mi sarebbe entrato nell'anima. Questo libro è stato un po' un ricordo e un po' un rimpianto, è stato un po' un senso di colpa che la mia versione quattordicenne non smetterà mai di provare e un po' un'assoluzione che adesso a ventisette anni posso concedermi. È un libro di cui non sarò mai in grado di parlare a dovere perché Anna McPartlin con la sua storia e i suoi personaggi mi ha restituito tutto quello che ho perso con mio nonno, anche se non sarà mai abbastanza per colmare quel vuoto.
Mi dispiace tantissimo per la tua perdita Alice, sono cose che ci segnano in maniera irreparabile. Questa recensione è stupenda e mi ha fatto capire moltissimo del romanzo e anche se sapevo già appena uscito che avrei pianto parecchio leggendolo, non potevo sapere cosa aspettasse. Non sono sicura che lo leggerò, almeno non ora ma credo sia davvero un romanzo toccante e sicuramente un pensiero ce lo farò.
RispondiEliminaGrazie Clary, sono passati tredici anni ma a volte è come se fosse successo ieri. Mi è difficile dire se consiglio questo libro o meno: chi ci è passato ovviamente può capire la situazione, ma proprio perché ci è passato forse non la vuole rivivere.
EliminaImmagino dipenda dal trovare il momento "giusto" per leggerlo.
Ciao Alice! Mi spiace tanto per la tua perdita e so per esperienza quanto la perdita di un nonno (o qualsiasi altra persona cara) in seguito ad una malattia possa segnarti.
RispondiEliminaDalla tua recensione si capisce che questo libro ti ha toccato il cuore, regalandoti emozioni molto intense e personali. Sinceramente non so se è una storia che leggerei, almeno per il momento, ma sicuramente lo metterò in WL!!
Grazie per la tua bella recensione e per aver condiviso le tue emozioni!
Un abbraccio!
Grazie per le tue parole, Alisya! :)
EliminaUna recensione così intensa non è mai solo una recensione, è un pezzo di te sullo schermo e ti ringrazio per le emozioni che ci hai esposto, così senza filtri e senza remore.
RispondiEliminaTi abbraccio forte e ti ringrazio, anche per avermi parlato di un libro che ho visto, ho segnato, ma che non so se avrò mai - per motivi personalissimi e dolorosi - il coraggio di leggere.
Ciao,
Eva.
Grazie Eva per le tue parole.
EliminaCome avevo scritto in un commento sopra, anche se c'è chi può capire non è detto che voglia rivivere quello che ha vissuto. Non è per tutti questo libro.
Un abbraccio anche a te.
Non importa quanto tempo passi, la ferita è sempre lì. Io ho perso mia nonna per questo motivo e, nonostante siano passati tre anni, a volte mi viene un nodo in gola e piango perchè la vorrei qui. Mi manca, eccome. Penso che leggerò questo libro perchè dopo le tue parole non posso davvero esimermi. Grazie Alice perchè, come sempre, mi emozioni con le tue parole <3
RispondiEliminaGrazie a te Ely per la tua comprensione. :)
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